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19 Marzo 2024

Uno sguardo alle infezioni delle api selvatiche

Quali sono le api più suscettibili alle malattie emergenti? Quanto e come si trasferiscono i virus tra le diverse specie? E soprattutto, quando e perché lo fanno? Pochi studi scientifici hanno provato a dare risposta a questo tipo di domande. Lo ha fatto BeeNet, progetto in grado di monitorare i diversi tipi di api che volano nel territorio italiano.

Grazie ai nodi della Rete Api Selvatiche, che insiste su 11 regioni in Italia, i ricercatori supportati da BeeNet - oltre al CREA partecipano una decina di altri istituti - hanno potuto capire più a fondo l’epidemiologia delle api del nostro Paese: non solo per comprendere quali siano le malattie più frequenti – e quali specie colpiscano – ma anche per individuare quali siano i fattori biologici ed ecologici che influenzano la presenza dei patogeni: una conoscenza fondamentale per riuscire a prevedere, e magari prevenire, le situazioni che mettono più rischio l’impollinazione negli ecosistemi.

Lo studio – pubblicato su Scientific Reports di Nature e relativo al 2022 – è stato il primo effettuato in una scala così grande nel nostro Paese e ha inquadrato la salute delle api in una maniera inedita: i virus e altri patogeni attribuiti tradizionalmente alle api da miele infettano oramai un enorme numero di specie, come si può vedere dall’immagine e, se è vero che gli alveari possono fungere da serbatoio per molte patologie, molti agenti patogeni circolano già attivamente tra diverse specie di api a prescindere da quelle da miele. Ciò accade perché probabilmente tutti gli apoidei – come è chiamata la superfamiglia che raggruppa questi fondamentali impollinatori – cercano cibo e volano negli stessi ambienti infetti e gli eventi di spillover sono dunque piuttosto comuni.
Alcune api potrebbero però essere più suscettibili di altre alle infezioni. O certi ambienti e condizioni potrebbero essere più pericolosi per gli insetti. Quali?

Cosa ha scoperto BeeNet

La maggioranza degli insetti studiati (68,4%) è risultato positivo per almeno un agente patogeno, ma un numero consistente (il 40% circa) era infettato da almeno due patogeni. Le malattie più presenti nella popolazione delle api selvatiche italiane sono risultate due virosi, quella delle ali deformi (DWV, 51,5%) e quella della cella reale nera (BQCV, 26,6%); al terzo posto la nosemosi, malattia procurata da un microrganismo fungino (Nosema ceranae, 22,7%). Tutte le malattie nelle api selvatiche seguono il medesimo andamento stagionale di quelle riscontrate negli alveari: un aumento dei casi di infezione all'inizio della primavera, seguita da una flessione – forse perché il grande numero di fiori a disposizione durante la primavera “diluisce” la possibilità di infettarsi - e infine nuovamente un picco a fine primavera/inizio estate.

I modelli statistici suggeriscono come l'aumento della temperatura e dell'umidità relativa riducano le possibilità di infezione, probabilmente perché sono fattori che diminuiscono la permanenza degli agenti patogeni (e anche la presenza di fiori) nell’ambiente. Anche le caratteristiche biologiche e sociali delle api svolgono un ruolo chiave nel rischio di infezione. Le api cleptoparassite – che si inseriscono nei nidi di altre specie di api per deporre le loro uova – sono più suscettibili alle infezioni, come accade anche alle api sociali che vivono in comunità dense di individui. Le api con livelli di socialità primitiva invece hanno nidi mediamente meno infetti da virus e malattie. Le api solitarie invece sono più suscettibili se il loro comportamento prevede che depongano uova due volte all’anno nello stesso nido, una condizione che rende più facile la proliferazione di malattie, soprattutto in quei nidi non esposti al sole le cui basse temperature consentono la persistenza delle particelle virali.

Le tipologie di gestione ambientale agricola sono risultate associate al rischio di infezione, a seconda dell'agente patogeno. Ad esempio, l'aumento dell'infezione da virus della cella reale nera (BQCV) e da quello della paralisi cronica (CPBV) dove l’agricoltura è gestita in modo intensivo potrebbe essere collegato al fatto che in questi ambienti si assiste ad una fioritura sincronizzata delle monocolture, che portano ad un'elevata densità di api in un'area specifica, esacerbando la diffusione di agenti patogeni.

Per approfondire: Nature Scientific Reports

Monitoraggio ambientale con le api


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